I Solisti Aquilani ad Aosta

con “Una Nuova Stagione”

Artisti

I SOLISTI AQUILANI

DANIELE ORLANDO, violino

 

Allievo di Denes Szigmondy – discendente della celebre scuola di Zino Francescatti e Carl Flesch – Daniele Orlando si è in seguito perfezionato con Ana Chumachenco e Boris Kuschnir.

A soli 17 anni ha debuttato come solista con il Concerto di P. I. Tschaikowsky diretto da Donato Renzetti che ha scritto di lui : “…dotato di una straordinaria musicalità e di una tecnica virtuosa, il Concerto da lui suonato è stato esemplare sia dal punto di vista tecnico che nel temperamento dimostrato….credo senza ombra di dubbio che Daniele Orlando sia una delle scoperte più importanti tra le nuove generazioni di solisti.”

Ha eseguito, fra gli altri, i Concerti di L. van Beethoven, J. Sibelius, F. Mendelssohn, G. F. Ghedini (“Il Belprato”), la Sinfonia Concertante e l’integrale dei lavori per violino e orchestra di Mozart e Mendelssohn; l’integrale dei Concerti Brandeburghesi in veste di direttore e solista al Ravello Festival, il concerto grosso di Bakalov e una memorabile esecuzione delle Stagioni di Vivaldi alla Philharmonie di Berlino.

Ha tenuto concerti da solista e in formazioni da camera negli Stati Uniti, in America Latina, in Russia, Germania, Francia, Romania, Repubblica Slovacca, Portogallo, Grecia, Irlanda e Svezia, collaborando con artisti quali Krzysztof Penderecki, Bruno Canino, Antonio Anselmi, Ramin Bahrami, Alessandro Carbonare, Michele Campanella. Con Giovanni Sollima ha eseguito il doppio concerto di Donizetti per la festa della Repubblica Italiana in diretta TV RAI 1 dal Salone dei Corazzieri del Quirinale.

Ha al suo attivo numerose incisioni discografiche per etichette quali Fuga Libera, Naxos, Tactus e Brilliant Classics.

E’ stato membro della Gustav Mahler Jugend Orchester, della European Union Youth Orchestra e dell’ Orchestra Mozart diretta da Claudio Abbado.

Dal 2014 è violino di spalla de I Solisti Aquilani e dal 2017 collabora con l’Orchestra di Padova e del Veneto in qualità di spalla.

Nell’ ambito della musica contemporanea ha eseguito numerose composizioni, molte delle quali in prima esecuzione assoluta. Fra queste, il “Concerto per due violini e orchestra” di Lasse Thoresen eseguito con l’orchestra del Teatro dell’Opera Di Roma in diretta su Radio 3 e molte delle composizioni di Diego Conti, che ha a lui dedicato “Edging” per violino solo e i “20 duetti” per due violini.

E’ docente di violino presso il Conservatorio di Fermo. Suona un Giovan Battista Ceruti del 1805.


Brani

Antonio Vivaldi, “Le Quattro Stagioni” da Il Cimento dell’armonia e dell’inventione

Wolfgang Amadeus Mozart, Eine kleine Nachtmusik K 525


Altre informazioni

Ancora Vivaldi. Ancora Le Quattro Stagioni. Per dire quello che non è stato ancora detto.
Per suonarle come non sono state ancora suonate.

L’occhio del mondo come contenitore asettico per leggere la vita nello scorrere del tempo, le conquiste, le catastrofi, le meraviglie, le aberrazioni, scandite dal succedersi delle stagioni, impassibili ma sofferenti, a registrare i cambiamenti climatici e sociali.

Così muta il volto del mondo, così cambiano gli uomini. Così l’occhio che guarda, appannato da una retina distaccata che registra stancamente e malinconicamente progresso e regresso, evoluzione e involuzione.

Quando uscì la prima edizione a stampa de Le Stagioni era il 1725. Vivaldi viveva a Venezia, aveva 47 anni, era famoso, un perfetto interprete dello spirito dell’epoca e della cosiddetta “musica a programma” che voleva raccontare e descrivere la natura nell’avvicendarsi dei mesi. Tre secoli di ininterrotto successo nelle sale da concerto di tutto il mondo, analisi e dibattiti sulla opportunità di esecuzioni filologiche o alternative, revisioni critiche e inchiostro a fiumi, fino a I Solisti Aquilani e al “suo” Primo violino, Daniele Orlando, interprete sublime, che si appropriano del capolavoro vivaldiano, lo rendono un gioiello musicale originalmente interpretato e si apprestano ora ad arricchirlo di un significato ulteriore che travalica la musica pur rispettando la sua dimensione circolare di punto di partenza e di arrivo.

Compenetrazione totale con il testo musicale fino a una sorta di transfert interpretativo, uno studio “matto e disperatissimo”, di leopardiana memoria, che sfocia in esecuzioni ai limiti dell’impossibile, immedesimazione emotiva e intellettuale che trascende gli esecutori in una sorta di sublimazione dei contenuti, queste Le Stagioni dei Solisti oggi.

Ma non basta, non più.

Il pensiero evocato dal significato dell’opera vuole, deve andare oltre, travalicare il contesto, dare voce a una idea arsa dalla passione per la vita, seppur corrosa dal degrado ma sempre caparbiamente in cerca di nuova speranza.

L’occhio guarda, registra, contiene, cerca.

Il mondo di Vivaldi non esiste più. La natura ha altre voci. Il sole, il mare, la pioggia non sono più gli stessi. Il sole è ferito, il mare porta morte, la pioggia devasta senza ristorare.

E’ rimasta la voce degli animali, ora come allora. Non quella dell’uomo, assente allora come ora. E’ questa che manca, è questa che può parlare di Stagioni nuove, ancora mai suonate, ancora mai tradotte.

Quell’uomo che Vivaldi non aveva pensato ma che oggi deve esistere, forte, prepotente, necessario, quella voce finora assente ma capace di parlare un linguaggio efficace di critica, di preoccupazione, di paura, di condanna, ma anche e sempre di fiducia e di ottimismo.

Le Stagioni di Vivaldi diventano le stagioni dell’uomo, racconto del ciclo vitale che tutto comprende e niente esclude, l’addormentamento e il risveglio, il torpore e la vitalità, ma anche la nascita e la morte, la malattia e la cura, il danno e il rimedio.

La primavera, l’estate, l’autunno, l’inverno, le stagioni delle emozioni in una società che annienta, mistifica, corrompe ma è ancora capace di dare voce, di salvare, di cantare attraverso l’arte gli eroi, tutti, soprattutto gli ultimi della terra. E le stagioni, come le emozioni, hanno una durata, un tempo di inizio e un tempo di fine, come la vita che spegne il ciclo vitale del singolo ma continua in ogni nuova generazione, come l’amore che non finisce mai perché si rinnova in ogni nuovo entusiasmo, in ogni gesto gentile, in ogni bacio appassionato, in ogni scelta di rispetto verso l’altro e verso il mondo. Ogni nuova vita, ogni nuovo amore sono più forti e prepotenti della vita che finisce, della violenza, dell’orrore, dell’ingiustizia, della barbarie, della sopraffazione, della natura offesa e ferita, umiliata e devastata ma comunque pronta a rinascere da se stessa. L’inverno parla di morte, ma sotto la coltre di neve c’è sempre la vita, da quel freddo gelido spunta la primavera che esplode orgogliosa e vitale nel rigoglio dell’estate. L’autunno, la malinconia delle foglie che ingialliscono, cadono, marciscono, la terra pronta a chiudersi in se stessa senza sapere se e quando si sveglierà, evocano una società in bilico tra degrado e sviluppo, spaventata dall’oscurità delle nuvole, nere e cariche di pioggia, mentre il tuono che incalza rinnova il timore delle persecuzioni, delle guerre, del male. E’ lo specchio di una umanità lacerata, confusa, spaventata dall’oscurità, incapace di contestualizzare e di contestualizzarsi, persa in un mondo che non riconosce più le identità e non ha più rispetto.

Ma nella pioggia si può trovare rifugio, rassicurazione in quel ticchettio regolare che parla di usi e abitudini consueti, familiari, riconoscibili e riconosciuti per trovarne conforto. È il racconto della vita di tutti i giorni, fatta delle persone che con coraggio e fiducia vivono cercando di essere degni attori in un mondo corroso, una umanità ancora capace di parlare e di dire la sua in una natura massacrata ma non annientata. E allora l’abbandono indurrà al silenzio e l’assenza preluderà alla speranza, al ritorno delle parole, dei suoni, dei colori, della vita, quella giusta, vera, degna di una umanità dai diritti rispettati, portatrice sana di valori da trasmettere. Il “cardelino” che Vivaldi descrive non esiste più. Esistono però altre voci, altri canti, altre onomatopee, e dietro ognuno di questi un grido, un appello, un pensiero, una riflessione, un dubbio.

Qual è il senso allora di queste Stagioni? Di questo Vivaldi? Di “Una Nuova Stagione”?

Come possono Daniele e I Solisti Aquilani riuscire a dire quello che non è stato ancora detto e suonare quello che non è stato ancora suonato?

Scegliendo di accompagnare la musica alle immagini, scegliendo di non sussurrare, non suggerire, non indurre.

Scegliendo di irrompere con la potenza inequivocabile del video, realizzato dallo stesso Daniele, che userà la musica e della musica che userà il video per raccontare, ricordare, urlare.

Scegliendo una lettura musicale che valorizza le asimmetrie armoniche e ritmiche senza compromettere ma anzi esalta la compattezza sonora dell’orchestra.

Scegliendo un vocabolario strumentale classico ma modernamente arricchito dall’utilizzo di modi di emissione sonora atipici come l’alternanza “ponte/tasto” o l’uso percussivo delle casse degli archi, abitudini peraltro ormai frequenti nella prassi strumentale ma nella esecuzione dei Solisti estremizzate fino all’inverosimile.

Scegliendo, nei movimenti lenti, assenza totale di vibrato che diventa tono straniante.

Il carattere descrittivo del capolavoro settecentesco rimanda, nell’interpretazione dei Solisti, a immagini che vogliono essere chiavi di lettura universalmente intelligibili ma con un contenuto musicale e strumentale innovativo e sperimentale, per una lettura nuova e diversa di un’opera mai statica.

Due linguaggi crudi, impietosi, musica e immagini usati senza metafore, senza significati sottintesi, due linee parallele che possono eccezionalmente incontrarsi per svelare la nudità dell’uomo e la sua piccolezza di fronte alla natura e di fronte ai disastri costruiti, provocati, indotti.

Eppure, sempre, alla ricerca spasmodica, dolorosa, inconsapevole o già metabolizzata di altre e forse più vere ragioni per combattere, per rinascere, per andare avanti, per continuare a credere.

L’occhio guarda, registra, contiene, cerca.

Come la vita nelle stagioni, dove il freddo dell’inverno continuerà a cedere al caldo dell’estate e il torpore dell’autunno esploderà nel risveglio della primavera, come le stagioni delle emozioni che continueranno a dare un senso al vivere nonostante ogni orrore e ogni errore.

E magari “Una Nuova Stagione” riuscirà a smuovere gli animi con la violenza dell’urlo primordiale e liberatorio che parte dalle viscere della terra e arriva dritto al cuore e alle coscienze….

 

Due solitudini in un mondo senza colore, destinate a non incontrarsi … Ma invertendo la tendenza, cambiando le abitudini, si incontreranno.

 

Forse …e il mondo tornerà a essere colorato.


Dove e quando

13 Febbraio 2022 - 20:30
Aosta, Teatro Splendor